Tra le opere di fortificazione realizzate da Francesco di Giorgio Martini nelle Marche, la rocca di Cagli costituisce un episodio progettuale di grande rilievo, sia per la complessità dell’intervento, che per la qualità formale raggiunta. L’imponente fortezza, edificata con ogni probabilità nella prima metà degli anni Ottanta del XV secolo per Giovanni Della Rovere, venne originariamente concepita come un sistema difensivo dai caratteri innovativi, contrassegnato da due poli, la rocca vera e propria che domina la città dall’alto del colle dei Cappuccini e un torrione sottostante, fra loro raccordati da un lungo cunicolo sotterraneo. La rocca superiore presentava un assetto planimetrico di forma romboidale con torri circolari lungo il perimetro e un alto mastio. Gran parte dell’edificio venne raso al suolo nel corso della guerra tra Guidubaldo da Montefeltro e Cesare Borgia (1502) e di esso sopravvivono scarse tracce materiali, tra cui i ruderi dell’affilato puntone affiancato da elementi cilindrici. E’ invece giunto fino a noi in ottime condizioni di conservazione il torrione martiniano di forma ellissoidale, anticamente allacciato alle mura urbane, che è stato recentemente restaurato e destinato a funzioni museali.
La struttura riflette quell’attitudine allo sperimentalismo formale propria dell’architetto senese e si configura come uno degli episodi più interessanti della sua lunga attività progettuale. Alcuni degli elementi ricorrenti del repertorio linguistico di Francesco di Giorgio sono ancor oggi ben visibili, come le lisce cornici in pietra e i beccatelli laterizi allungati. Il torrione si eleva su cinque piani raccordati da una scala semicircolare che raggiunge un ampio ballatoio in sommità. Nel corso dei recenti lavori di restauro anche l’antico fossato è stato restituito in buona parte alla sua antica configurazione
Nei Trattati la fortezza di Cagli viene presentata da Francesco di Giorgio per prima e con grande ricchezza di dettagli tra le sei elencate, il che ha fatto ipotizzare un certo compiacimento dell’autore. Nell’odierna pavimentazione stradale una fascia semicircolare di pietra bianca indica il livello ove è stato rinvenuto il muro di contenimento del fossato che fino al Settecento conteneva acqua di risulta dell’acquedotto comunale.
Durante l’opera di riapertura parziale del fossato è stata trovata la base sulla quale appoggia il ponte levatoio che, dunque, non giungeva a toccare il bordo del fossato. Al di sopra della stretta porta situata verso la città sono le due asole attraverso le quali scorrevano le catene del ponte levatoio. Superata la porta lignea a due ante si accede ad un breve corridoio, anticamente chiuso nella parte di fondo da altra porta, e coperto con volta a botte munita di spioncino. Il locale del primo piano, spartano come gli altri, presenta cinque troniere dotate di “fumigante” (camino di aspirazione dei fumi delle armi da fuoco), della lastra di pietra con la tacca per la mira ed il foro circolare per l’innesto dell’arma da fuoco, nonché dei fori quadrati paralleli che servivano per posizionare l’arma da fuoco per mezzo di stanghe di legno.
Nella parte sinistra del locale ovoidale c’è il condotto finestrato che permette di attingere acqua dalla sottostante cisterna alta sei metri. Al di sotto della stanza del primo piano, sono due locali semicircolari voltati muniti di troniere. Da uno di questi si imbocca il lungo “soccorso coverto”, ossia il camminamento segreto che scavato nelle viscere del vicino colle conduce alla piazza d’arme della sovrastante Rocca.
La stanza ellissoidale del secondo piano non presenta alcuna bocca da fuoco, essendo dotata in origine probabilmente solo delle due strette luci che permettevano di controllare un buon tratto della cinta urbica. Ciò fa supporre che questa fosse la stanza del conestabile.
Le scale a lumaca che scompaiono nel forte spessore delle murature, conducono al piccolo vano dal quale per mezzo di argani, dei quali ci sono tracce nell’intonaco, veniva sollevato il ponte levatoio, quanto all’ultima stanza che si differenzia dalle altre per la sua copertura a capriate, e che forse non è andata esente dai rimaneggiamenti cinquecenteschi. L’intonaco chiaro reca graffiti uno stemma e il motto che recita: ” Caro mio compagno ama Dio e la sua Madre Signore Conte Rvberto Signore Roso Ridolfi Adi 24 De Novembre 1519“. E’ fatto riferimento agli uomini di Lorenzino dei Medici nel periodo in cui ebbe a governare il ducato d’Urbino per volontà del consanguineo papa Leone X.
L’ampio ballatoio presenta 58 caditoie per la difesa piombante (chiuse da botole di legno) e 15 feritoie. Dalla zona di ronda si intravede la turrita porta Massara a base trapezoidale, donata a Cagli dagli abitanti di Massa Trabaria, nel periodo delle ricostruzione della città (1289). La porta probabilmente era difesa grazie a un ponte basculante e un camminamento esterno poggiante sulle mensole lapidee del coronamento. Il Torrione, sede del Centro di Scultura Conteporanea, ospita sculture di: Alamagno, Coletta, Gastini, Icaro, Kounellis, Lorenzetti Mattiacci, Nagasawa, Nunzio, Paolini, Porcari, Uncini, Zorio.
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