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Urbania è una cittadina con la curiosa caratteristica di aver cambiato, nel corso della sua storia, per ben tre volte il nome. Nell’alto medioevo si chiamava Castel delle Ripe e sorgeva sui colli della riva sinistra del Metauro. Fu distrutta nel 1277 dai Montefeltro, per la sua fedeltà al giglio guelfo. Nel 1284 circa fu ricostruita dal provenzale Guglielmo Durante governatore della Romagna e della Marca d’Ancona, il quale trasferì l’abitato dalle colline alla pianura affidando la difesa del nuovo castello a potenti mura e alle acque del fiume Metauro. Da questa data si chiamò Casteldurante , dal 1424 fece parte del dominio della Signoria dei Montefeltro-Della Rovere. Dopo la devoluzione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631), papa Urbano VIII elevò Casteldurante al grado di Diocesi e di Città (1636) mutando il suo nome in quello di Urbania.

L’impianto urbanistico del centro storico alla fine del ‘200, fu pianificato da Guglielmo Durante, contiguo all’antica abbazia benedettina di San Cristoforo del Ponte. Rilevanti elementi dell’urbanistica sono le vie cittadine con le caratteristiche logge o portici e la grande ansa tortuosa del Metauro che avvolge l’abitato. Il Palazzo Ducale dei Montefeltro-Della Rovere, già castello dei Brancaleoni, ristrutturato da Francesco di Giorgio Martini e Gerolamo Genga, è sede della biblioteca comunale, dei musei civici e degli istituti culturali cittadini. Nell’antica abbazia benedettina risalente al IX sec., poi palazzo del vescovo, è oggi istituito un Museo Diocesano con una vasta raccolta di ceramiche.

La piccola città esprime nel suo insieme una discreta cifra scenografica: nei loggiati trecenteschi, nell’assetto geometrico delle vie, nelle corrispondenze dei vicoli, nelle linee di fuga che a volte incontrano decorosi portali. Ha una serie di forti punti paesaggistici: sui ponti, nella cinta muraria che permette la classica e marchigiana passeggiata sulle mura, con la vista sul Metauro, con gli orti sporgenti sui moderati abissi, e i grandi massi fluviali d’arenaria che sembrano sculture.

Si viene in Urbania per le maioliche durantine, per i pittori come Giuliano o Pietro da Rimini che rappresentano la curiosa variante di una scuola di Giotto arrivata nei centri appenninici dal mare Adriatico. Chi ama la pittura dice che la Maddalena Penitente di Guido Cagnacci vale un viaggio ad Urbania , e può vedere il quadro ancora nello stesso altare di quattro secoli addietro. C’è chi viene per la Madonna delle nuvole di Federico Barocci che Francesco Maria II Della Rovere “teneva al suo letto nell’attuale ornato” e che ora è posta affettuosamente sul sepolcro dell’ultimo Duca di Urbino. L’Oratorio del Corpus Domini è un’altra meta consueta con gli affreschi di Raffaellin del Colle Le Sibille e i Profeti collegati ai temi messianici e dell’attesa, così pertinenti ai climi e alle atmosfere di provincia.

Molti vengono a Urbania per la Chiesa dei Morti, già Cappella Cola fino al 1836, ornata da un bel portale gotico, conserva al suo interno il Cimitero delle Mummie noto per il curioso fenomeno della mummificazione naturale, dovuto a una particolare muffa che ha essiccato i cadaveri succhiandone gli umori. La biblioteca ducale, poi, è stata sempre considerata come la meraviglia della cittadina; pur trafugata in buona parte all’Alessandrina di Roma, nel 1667; non vi era un forestiero di passaggio che le entusiastiche guide dell’epoca non conducessero nel palazzo a mostrare la “libraria” con gli annessi e rari globi di Gerardo Mercatore. E ve ne era ben donde: Francesco Maria II Della Rovere costituì una raccolta di libri che poteva dirsi una meraviglia delle collezioni roveresche. Suoi agenti compravano libri per lui in Italia e in Europa e intenditori di prim’ordine come il cardinale Del Monte, il mecenate di Caravaggio, si occupava di prendergli quanto di meglio uscito dai torchi delle tipografie. La corte dei Della Rovere era un ambiente internazionale, ed essi attribuivano importanza alle comunicazioni. La biblioteca era ricca di 14.000 volumi, quando agli inizi del ‘600 si calcola che circolassero non più di 250.000 libri in tutta l’Europa.

I duchi vi soggiornavano spesso: Elisabetta Gonzaga si rallegrava del comodo Sito pianeggiante, Francesco Maria I Della Rovere diceva di avere la corte a Pesaro, il palazzo a Urbino, la casa a Casteldurante, alludendo alla domestica libertà durantina, alle battute di caccia al Barco o sull’Appennino, ai salutari bagni nelle gorghe del Metauro. Mezzo secolo fa, si poteva ancora ammirare il tempietto ottagonale, oggi irriconoscibile per le storpiature belliche, fondato su una roccia a picco sul Metauro, opera di Donato Bramante. Secondo quanto scritto da Vasari e da Serlio, l’architetto sarebbe nato a Casteldurante nel 1444, ma i suoi natali sono oggetto di una annosa guerra culturale con la limitrofa Fermignano. Inoltre molti vengono a Urbania per studiare la lingua italiana nelle scuole di lingua per stranieri.

Galleria Fotografica di Urbania

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